venerdì 16 aprile 2010

BREVE RACCONTO SUI NICARAGUAS

NICARAGUA, L’EPONIMO DIVINO?
- breve racconto sui nicaraguas -

Era l’anno 1523. Il capo tribù, filosofo e astronomo, Nicarao, vide arrivare Gil González Dávila a sud del itsmo di Rivas, dal mare, che veniva a proporre la resa e la sottomissione al dominio del re di Spagna, insieme con la conversione al cattolicesimo. Gli uomini dalle lunghe barbe cavalcavano delle bestie, come demoni del male, avevano il fuoco nelle mani ed erano ricoperti di metallo: erano gli uomini barbuti dell’attesa profezia.

Ebbe inizio la lotta, la resistenza. Diriamba, Boaco, Yarrince, Matagalpa, Chontales , figli legittimi del Serpente piumato soffrirono le atrocità dell’invasore chele, compiendo delle eroiche gesta nella difesa dei nicaragua (o niquiranos). Le divinità avevano già incontrato gli invasori; avevano già subito la loro superiorità tecnologica e il loro inganno, a monte, nell’eroica Tenochtitlán . dove gli aztecas, a loro volta, avevano scritto una delle piùCorsivo eroiche pagine della storia maya-quiché, sconfiggendo l’hidalgo Cortés che pianse la disfatta nell’albero della notte triste.


Il capo tribù Nicarao lo ricevette amichevolmente, accettando la religione cristiana e lasciando che molti della sua tribù si battezzassero. Da Nicarao, gli spagnoli andarono verso Diriangén, ma questi attaccò i soldati spagnoli obbligandoli a battersi in ritirata. Nasce così l’eponimo paese, la cui caratteristica fondamentale, nella fusione nicarao-diriangén non è l’aggressione, né l’arresa, ma la difesa. Questo popolo troverà, in quest’arte di resistenza, la difesa nel campo di battaglia, nella filosofia, nella poesía…

Non molto tempo prima, Quetzalcóatl (náhuatl: Quetzalcōātl), il serpente piumato, era partito verso sud alla ricerca di una laguna con due vulcani gemelli dove si sarebbe stabilito e costruito il suo regno per far fronte alla lotta di difesa contro l’invasore spagnolo.

Da allora furono chiamati indios, come se fossero nati nell’India. Gli invasori imponevano un dio estraneo agli abitanti del nuovo continente, reprimendo la loro cultura, il loro culto agli dei, le loro usanze ed imponendo loro dei nomi a caso o i nomi dei loro “padrini”, o del prete che li battezzava o in onore di qualcuno… i nicaraguas, ridotti ormai in schiavitù, ricevevano i nomi dai loro padroni. Prima i nicaragua avevano un solo nome: Chorotega Nicoya, Nandaime, Monimbó, Xalteba…

Nella lotta si aggiunsero i nagarandanos ed altri capi tribù. Nel 1524 gli spagnoli fondarono due città: Granada (1524) e León (prima città capitale, dove i cani divorarono molti capi tribù resi prigionieri ).

L’almirante era già arrivato nella terra dei nicaraguas dove dopo una terribile tormenta era approdato a nord dove trovò riparo e ringraziò il suo dio. Il posto oggi si chiama Cabo Gracias a Dios. Poi scendendo a valle, lungo le coste del mar dei Carabi rientrò dal Delta del Río Grande di Matagalpa dove fu ricevuto con cortesia. Gli spagnoli compirono le prime stragi e gli indios lottarono fino all’ultimo sangue, affondando le navi del conquistador. Colombo chiamò questo fiume Río del Desastre. Boaco si mise al fronte nella lotta. La superiorità tecnologica degli invasori decimava le popolazioni nicaraguas. Gli spagnoli cercavano, ancora convinti di stare nelle Indie orientali, lo stretto dubbioso, il passaggio verso la grande Cina.

Gli indios monimbó, masaya, yarrince ebbero la peggio. Yarrince ordinò al suo popolo di non fare l’amore per non dare figli schiavi agli spagnoli. Poco dopo, questi, morí ed il suo spirito, secondo la tradizione, diventò un colibrì. L’odissea dei tupamaros diede loro la forza per resistere per secoli, fino a ritrovare l’equilibrio perduto, quello di simbiosi con la madre natura.

Non molto tempo dopo, il padre del modernismo letterario avrebbe fatto conoscere al mondo l’epopea dei nicaraguas. Il poeta bohémien, nato nell’eponima città, avrebbe continuato la lotta fino a rivoluzionare la scrittura, le arti, la poesia. Nasceva così un nuovo battaglione di combattenti per la libertà: i poeti, i santi. Darío cantò ode a Colombo, la sua prosa e poesia era profetica e chiedeva al “disgraziato almirante” di pregare il suo Dio per il mondo che aveva conosciuto. Il poeta cantò anche aRoosevelt, convinto che la speranza fosse ancora custodita nel vaso di pandora, avvertendolo di stare attento al mondo che, da nuovo Colón, stava cercando di sottomettere:

[…] tantos millones de hombres hablaremos inglés,
callaremos ahora, para llorar después […]

L’esercito di poeti continuò la lotta, fino ad arrivare a Sandino , padre della rivoluzione, Santo di nome. La fusione dell’arte guerriera e poetica era perfetta. Fu allora che cominciarono le vittorie. Gli spagnoli e gli inglesi erano partiti. Toccava ora combattere contro i cheles, contro i machos. Arrivò William Walker, moderno nerone che bruciò la città dei Xalteba, Granada. La prosa poetica raccontava al popolo le gesta eroiche di coloro che volevano vivere come i santos, dei sandinos ora sotto un unico eponimo: i Nicaraguas. Così lottava Carlos. Così cantava il poeta Leonel, i poeti della rivoluzione, il Laviana che cambiò la bibbia per un fucile rivoluzionario e invitava a non temere la morte, che era solo il primo passo per salire in cielo.

muera, muera, compañero
que para subir al cielo
hay que morir primero…


In un mondo dove la terra non era più un satellite della luna i rugama, amador, buitrago, fonseca, poeti-combattenti figli di sandino, avrebbero insegnato a vivere come i santi, avrebbero coniugato in un solo eponimo lo spirito di lotta e l’arte poetica di tanti combattenti che oggi, figli di Quetzalcóatl si chiamano nicaraguas.


Epilogo
Alcuni scrittori sostengono che le cronache spagnole siano soltanto miti della conquista, ornati da fantastiche avventure soprattutto laddove la resistenza indigena dava del filo da torcere, visto che all’incontro con gli indios nessuno parlava la lingua dell’altro. Era quindi impossibile stabilire un dialogo.
Ragionando sulla scia del pensiero di Fernando Silva, studioso dei codici chichimecas, cultura molto forte nella regione dei nicaragua, dove vivevano i mangues e chorotegas… L’influenza olmeca si sentiva a nord. I maya si allargavano verso sud, verso il grande lago, il Xolotlán, dove abitavano i nagarandas. Nella lingua quiché esiste il gentilizio “gua” che vuol dire “que es de ahí”.

E se l’origine dei nicaragua fosse invece attribuibile ai nagarandas? Forse ci sarebbe da rivisitare tutta la storia dell’eponimo paese alla ricerca dell’esistenza di un Nicarao-filosofo che conversava con Gil González Dávila!

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