domenica 18 aprile 2010

SICUREZZA E SVILUPPO: I DIRITTI NEGATI




L’Analisi di Vladimira Cavatore nel libro “L’alba del continente latinoamericano” duecento anni dopo l’Indipendenza dalla Spagna



Il continente Latinoamericano celebra quest’anno il duecentesimo anniversario dell’Indipendenza dalla Spagna. Questa ricorrenza riguarda alcuni importanti Paesi, come il Venezuela (19 aprile), l’Argentina (25 maggio), Colombia (20 luglio), il Messico (16 settembre) e il Cile (18 settembre).
In Venezuela, dove si ricorderà la cacciata del governatore spagnolo Vincente Emparán, il presidente Hugo Chávez sottolineerà l’evento con un documento per il riconoscimento e l’emancipazione delle popolazioni autoctone. In Argentina, per ricordare questo avvenimento storico, sono stati stanziati 42 milioni di dollari, con la possibilità di ulteriore aumento dei fondi. Per l’occasione, infatti, sarà inaugurata la Casa della Cultura del Bicentenario e contemporaneamente avverrà la riapertura dello storico teatro Colón di Buenos Aires, chiuso per restauri da oltre tre anni.
Anche in Colombia, Messico e Cile sono previste numerose e importanti manifestazioni. In questo contesto di festeggiamenti e ricorrenze, non passa inosservato la pubblicazione di un libro dal titolo “L’alba del continente Latino Americano”, della giovane scrittrice Vladimira Cavatore. Un’opera che sottolinea i grandi sforzi che gli Stati del centro e del Sud dell’America stanno profondendo per il riconoscimento del diritto sindacale e del diritto ad un lavoro svolto in sicurezza: un obiettivo di non facile realizzazione – e ancora molto lontano –, come viene documentato dai vari mezzi di comunicazione quali televisione, cinema e stampa.
Nella sua ultima fatica letteraria, Vladimira Cavatore sottolinea il fenomeno delle “Maquilas”. Il termine “maquila”, nel Medioevo, indicava una misura, facendo riferimento alla porzione di grano che il proprietario terriero doveva lasciare al padrone del mulino. Oggi, invece, con questa parola si intendono le fabbriche dove ogni operaio lascia una parte dei propri guadagni per continuare a lavorare, senza tutela salariale adeguata e orari. Il fenomeno delle “maquilas” si associa ai concetti di precarietà e, nel caso delle donne e bambini, anche di violenza e mobbing. Abbiamo voluto porre all’autrice del libro alcune domande sulla sua opera.

Perché ha deciso di occuparsi della situazione sindacale dell’America Latina?
“Mi sono occupata di tutto il diritto del lavoro in America Latina. In questo testo ho accennato la condizione sindacale, in quanto dalla XIII Conferenza della Rel-Uita (Conferenza Regionale Latinoamericana de la Unión Internacional de los Trabajadores de la Alimentación) del 2006 sono sortiti vivaci dibattiti, evolutisi in tematiche e situazioni che hanno dato spunto, ad ogni organismo sindacale, sulle possibilità di sviluppare nel proprio ambito locale e regionale, la globalizzazione della solidarietà e della lotta sindacale in America Latina. Si è anche discusso sulle strategie del grande capitale multinazionale, è qui che rientrano sempre gli Stati Uniti con la loro influenza, anche in tematiche del lavoro. Oltre 100 delegati di 14 Paesi dell’America latina e dei Caraibi hanno rappresentato sindacati e organizzazioni sociali affiliate alla Rel-Uita, partecipando a una serie di conferenze e dibattiti sulla situazione del mondo del lavoro latinoamericano; su tematiche legate a situazioni ambientali nel continente; su politiche neoliberiste delle multinazionali e su strategie per affrontarle; sulla difesa dei diritti umani; sull’allarmante tematica dei transgenici e sul diritto a decidere sulle scelte alimentari”.

Nel suo libro, lei affronta il problema delle “maquilas” in America Centrale, ma questa tipologia di lavoro, ormai, non è presente solo in quell’area geografica, ma anche in altre parti del pianeta. Come pensa che si possa ridimensionare questo fenomeno del mercato globale? “Per l’esattezza mi sono concentrata sull’America Centrale, poiché è sempre stato il focus delle mie ricerche in ambito geopolitico. Il fenomeno da me riportato (ampiamente descritto negli ultimi anni dai ricercatori latinoamericani) non era stato affrontato con determinate specificità in materia di diritto e politica sociale del lavoro, base essenziale di tutto lo scritto. La soluzione non è certamente oggettiva, relativamente al ridimensionamento del fenomeno (ormai esportato e diffuso nel resto del mondo), ma che ha visto l’America centrale e settentrionale, considerando prima di tutto il Messico, originario del fenomeno. Ho voluto mettere in evidenza che, laddove sono state emanate norme di tutela in materia, le stesse non sono applicate adeguatamente proprio per l’impazzare sempre più sostenuto delle multinazionali dell’acuire il fenomeno stesso. Tale dimensione colpisce il lavoro e la dignità del lavoro umano, riducendola alla sola miseria nella forma di ricatto ben nota cioè chiudere le fabbriche, spostarle e riaprirle altrove e nemmeno più nei soli confini statunitensi. Tutto ciò ha creato e continua a creare maggiore disoccupazione ed ancora più fame oltre alla già conclamata povertà strutturale. Ad esempio, sappiamo se in Cina, per mantenere alto il tasso di crescita (credo sia del 7 o 10%) si attua il rispetto di norme basilari del diritto del lavoro? Dove, altrove, in America Latina esistono, almeno, sulla carta. Il fenomeno si è anche diffuso nel resto del mondo - anche se con sfumature differenti -, poiché appare radicalmente ridimensionato lo stesso diritto del lavoro dai più recenti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, caratterizzati da un’interpretazione flessibile degli istituti legali e contrattuali, con conseguente affievolimento della tutela del lavoratore occupato. Tutto ciò viene chiamato elegantemente flexicurity dall’Unione europea, dove trova più idoneo indietreggiare in tale tutela, per via delle trasformazioni economiche e tecnologiche degli ultimi anni (ricordiamoci delle ultime sentenze Ruffert, Laval e Viking). Si può solo sperare che con favorevoli congiunture economiche, ormai a livello mondiale, ci sia un cambiamento di indirizzo e ripristino della dignità del lavoratore che è dicotomico con la sua dignità umana”.

La sicurezza sul posto del lavoro è uno dei temi che coinvolge anche il nostro Paese. Ma quali sono le situazioni in cui vivono queste persone e perché, secondo lei, c’è ancora tanta resistenza su questo argomento?
“A questa domanda in qualche modo ho risposto con la precedente: posso solo aggiungere che per la popolazione dell’America Latina, la flexicurity, è solo un dibattito ulteriore alle tante problematiche già in essere, oltretutto ancora primarie da e per la sopravvivenza, che fa riscontro con l’assenza di sicurezza negli ambiti di lavoro”.

Manuela Cipri
(Intervista pubblicata sul giornale Avanti, Esteri 14-04-2010 p.5)

venerdì 16 aprile 2010

BREVE RACCONTO SUI NICARAGUAS

NICARAGUA, L’EPONIMO DIVINO?
- breve racconto sui nicaraguas -

Era l’anno 1523. Il capo tribù, filosofo e astronomo, Nicarao, vide arrivare Gil González Dávila a sud del itsmo di Rivas, dal mare, che veniva a proporre la resa e la sottomissione al dominio del re di Spagna, insieme con la conversione al cattolicesimo. Gli uomini dalle lunghe barbe cavalcavano delle bestie, come demoni del male, avevano il fuoco nelle mani ed erano ricoperti di metallo: erano gli uomini barbuti dell’attesa profezia.

Ebbe inizio la lotta, la resistenza. Diriamba, Boaco, Yarrince, Matagalpa, Chontales , figli legittimi del Serpente piumato soffrirono le atrocità dell’invasore chele, compiendo delle eroiche gesta nella difesa dei nicaragua (o niquiranos). Le divinità avevano già incontrato gli invasori; avevano già subito la loro superiorità tecnologica e il loro inganno, a monte, nell’eroica Tenochtitlán . dove gli aztecas, a loro volta, avevano scritto una delle piùCorsivo eroiche pagine della storia maya-quiché, sconfiggendo l’hidalgo Cortés che pianse la disfatta nell’albero della notte triste.


Il capo tribù Nicarao lo ricevette amichevolmente, accettando la religione cristiana e lasciando che molti della sua tribù si battezzassero. Da Nicarao, gli spagnoli andarono verso Diriangén, ma questi attaccò i soldati spagnoli obbligandoli a battersi in ritirata. Nasce così l’eponimo paese, la cui caratteristica fondamentale, nella fusione nicarao-diriangén non è l’aggressione, né l’arresa, ma la difesa. Questo popolo troverà, in quest’arte di resistenza, la difesa nel campo di battaglia, nella filosofia, nella poesía…

Non molto tempo prima, Quetzalcóatl (náhuatl: Quetzalcōātl), il serpente piumato, era partito verso sud alla ricerca di una laguna con due vulcani gemelli dove si sarebbe stabilito e costruito il suo regno per far fronte alla lotta di difesa contro l’invasore spagnolo.

Da allora furono chiamati indios, come se fossero nati nell’India. Gli invasori imponevano un dio estraneo agli abitanti del nuovo continente, reprimendo la loro cultura, il loro culto agli dei, le loro usanze ed imponendo loro dei nomi a caso o i nomi dei loro “padrini”, o del prete che li battezzava o in onore di qualcuno… i nicaraguas, ridotti ormai in schiavitù, ricevevano i nomi dai loro padroni. Prima i nicaragua avevano un solo nome: Chorotega Nicoya, Nandaime, Monimbó, Xalteba…

Nella lotta si aggiunsero i nagarandanos ed altri capi tribù. Nel 1524 gli spagnoli fondarono due città: Granada (1524) e León (prima città capitale, dove i cani divorarono molti capi tribù resi prigionieri ).

L’almirante era già arrivato nella terra dei nicaraguas dove dopo una terribile tormenta era approdato a nord dove trovò riparo e ringraziò il suo dio. Il posto oggi si chiama Cabo Gracias a Dios. Poi scendendo a valle, lungo le coste del mar dei Carabi rientrò dal Delta del Río Grande di Matagalpa dove fu ricevuto con cortesia. Gli spagnoli compirono le prime stragi e gli indios lottarono fino all’ultimo sangue, affondando le navi del conquistador. Colombo chiamò questo fiume Río del Desastre. Boaco si mise al fronte nella lotta. La superiorità tecnologica degli invasori decimava le popolazioni nicaraguas. Gli spagnoli cercavano, ancora convinti di stare nelle Indie orientali, lo stretto dubbioso, il passaggio verso la grande Cina.

Gli indios monimbó, masaya, yarrince ebbero la peggio. Yarrince ordinò al suo popolo di non fare l’amore per non dare figli schiavi agli spagnoli. Poco dopo, questi, morí ed il suo spirito, secondo la tradizione, diventò un colibrì. L’odissea dei tupamaros diede loro la forza per resistere per secoli, fino a ritrovare l’equilibrio perduto, quello di simbiosi con la madre natura.

Non molto tempo dopo, il padre del modernismo letterario avrebbe fatto conoscere al mondo l’epopea dei nicaraguas. Il poeta bohémien, nato nell’eponima città, avrebbe continuato la lotta fino a rivoluzionare la scrittura, le arti, la poesia. Nasceva così un nuovo battaglione di combattenti per la libertà: i poeti, i santi. Darío cantò ode a Colombo, la sua prosa e poesia era profetica e chiedeva al “disgraziato almirante” di pregare il suo Dio per il mondo che aveva conosciuto. Il poeta cantò anche aRoosevelt, convinto che la speranza fosse ancora custodita nel vaso di pandora, avvertendolo di stare attento al mondo che, da nuovo Colón, stava cercando di sottomettere:

[…] tantos millones de hombres hablaremos inglés,
callaremos ahora, para llorar después […]

L’esercito di poeti continuò la lotta, fino ad arrivare a Sandino , padre della rivoluzione, Santo di nome. La fusione dell’arte guerriera e poetica era perfetta. Fu allora che cominciarono le vittorie. Gli spagnoli e gli inglesi erano partiti. Toccava ora combattere contro i cheles, contro i machos. Arrivò William Walker, moderno nerone che bruciò la città dei Xalteba, Granada. La prosa poetica raccontava al popolo le gesta eroiche di coloro che volevano vivere come i santos, dei sandinos ora sotto un unico eponimo: i Nicaraguas. Così lottava Carlos. Così cantava il poeta Leonel, i poeti della rivoluzione, il Laviana che cambiò la bibbia per un fucile rivoluzionario e invitava a non temere la morte, che era solo il primo passo per salire in cielo.

muera, muera, compañero
que para subir al cielo
hay que morir primero…


In un mondo dove la terra non era più un satellite della luna i rugama, amador, buitrago, fonseca, poeti-combattenti figli di sandino, avrebbero insegnato a vivere come i santi, avrebbero coniugato in un solo eponimo lo spirito di lotta e l’arte poetica di tanti combattenti che oggi, figli di Quetzalcóatl si chiamano nicaraguas.


Epilogo
Alcuni scrittori sostengono che le cronache spagnole siano soltanto miti della conquista, ornati da fantastiche avventure soprattutto laddove la resistenza indigena dava del filo da torcere, visto che all’incontro con gli indios nessuno parlava la lingua dell’altro. Era quindi impossibile stabilire un dialogo.
Ragionando sulla scia del pensiero di Fernando Silva, studioso dei codici chichimecas, cultura molto forte nella regione dei nicaragua, dove vivevano i mangues e chorotegas… L’influenza olmeca si sentiva a nord. I maya si allargavano verso sud, verso il grande lago, il Xolotlán, dove abitavano i nagarandas. Nella lingua quiché esiste il gentilizio “gua” che vuol dire “que es de ahí”.

E se l’origine dei nicaragua fosse invece attribuibile ai nagarandas? Forse ci sarebbe da rivisitare tutta la storia dell’eponimo paese alla ricerca dell’esistenza di un Nicarao-filosofo che conversava con Gil González Dávila!

giovedì 18 marzo 2010

EGYPTZJKA - Il nuovo libro di Vladimira Cavatore

POEMA DELL'ANTICO E MODERNO ALTO E BASSO EGITTO DI APPRESTAMENTO AL SALTO DIMENSIONALE

lunedì 16 novembre 2009

A proposito del linguaggio universale

"Looking ahead to 2015 and beyond, there is no question that we can achieve the overarching goal: we can put an end to poverty. In almost all instances, experience has demonstrated the validity of earlier agreements on the way forward; in other words, we know what to do. But it requires an unswerving, collective, long-term effort."

Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon.




Negli ultimi anni, le organizzazioni di stampo universale hanno intrapreso una lotta senza quartiere nella ricerca di un idem sentire mondiale per affrontare i problemi più sentiti soprattutto nei paesi in via di sviluppo. In questo senso è notevole l’impegno ed i compromessi presi negli innumerevoli fora, conferenze, programmi ecc., per proporre delle soluzioni, tra tanti altri, ai problemi correlati con la produzione e distribuzione di alimenti e lo sviluppo sostenibile.
Per citare un solo esempio, gli Obiettivi di sviluppo del millennio (MDG, dal suo acronimo inglese) mettono insieme gli interessi mondiali nati dagli impegni e mete stabiliti nel Vertice mondiale del 1990 (UNPD, 2000), in risposta alle principali sfide di sviluppo globale e alla richiesta delle società civili in materia di riduzione della povertà, educazione, salute materna, uguaglianza di genere e lotta contro la mortalità infantile, AIDS ed altre malattie. A mio avviso, questo è uno dei programmi più importanti sin dalla Conferenza di San Francisco del 1945.
Le mete globali (2015) potrebbero essere raggiunte se tutti gli attori lavorassero insieme facendo la loro parte. Si spera, in questo senso, che i paesi poveri migliorino la modalità di governo ed investano nelle loro popolazioni tramite programmi di sanità ed educazione. I paesi ricchi, a loro volta, sono chiamati ad appoggiarli tramite programmi di aiuti, revisione del debito ed un commercio più giusto.
Se ne parla molto, a livello internazionale, e le azioni intraprese auspicano un maggiore coinvolgimento di tutti gli attori per far sì che il mondo possa iniziare a marciare verso un futuro comune.
Il primo approccio, nelle organizzazioni internazionali di paesi, è quello del comune impegno, del lavoro in comune. Il primo problema da affrontare è la lingua che è uno degli elementi fondamentali della soggettività giuridica degli stati ed uno strumento di comunicazione col quale ogni singolo stato afferma la sua volontà sovrana su un territorio. La lingua resta ancora oggi un ostacolo alle volte insormontabile e/o difficile da superare nei negoziati internazionali.
Le lingue ufficiali delle Nazioni Unite e degli organismi collegati sono inglese, francese, spagnolo, cinese, arabo e russo. Questo aspetto di per sé acquisisce un connotato bivalente nella sfera internazionale: da una parte si riduce l’ambito di comprensione e di interazione a sole 6 lingue che grosso modo rappresentano abbondantemente più di tre quarti della popolazione mondiale; dall’altra, hanno per conseguenza che tutte le altre nazioni e territori (dove si parlano, per esempio, le moltissime lingue africane) debbano imparare a capire una di queste lingue ufficiali, solitamente l’inglese.
L’inglese delle Nazioni Unite – e dei moltissimi organismi internazionali ad essa collegati– è diventato, soprattutto con l’avvento della mondializzazione, la vera lingua di connessione tra i paesi appartenenti a questa organizzazione. È una lingua nuova, per moltissimi aspetti distaccata e diversa dall’inglese del Regno Unito o da quello degli Stati Uniti d’America. È stata arricchita, unificata dal lavoro di migliaia di operatori internazionali che nel tempo hanno contribuito a “creare” un modo più agevole di esprimersi, con delle regole stabilite e con una base di dati e concetti universali presenti in tutti i documenti prodotti da questa organizzazione e che non sfuggono all’occhio di un attento lettore o di un traduttore o interprete. Altre organizzazioni internazionali si sono aggregate a questa modalità, utilizzando le regole e terminologie stabilite dalle Nazioni Unite.
In questo senso ogni terminologia oggi utilizzata dall’ONU ha un corrispettivo nelle altre cinque lingue ufficiali ed un significato unico, preciso, esatto, utilizzato da tutti gli abitanti dei 192 paesi (ONU, 2007) che hanno a che fare con questa Organizzazione. Anche l’Unione Europea ha intrapreso la stessa strada ed oggi si affaccia alla nuova Torre di Babele globalizzata anche dall’inglese dell’Unione Europea .
Ogni documento (papers, reports, declarations ecc.) viene prodotto originalmente in inglese (indipendentemente dalla lingua del paese di origine), revisionato da tecnici e specialisti all’interno dell’ONU, editato e pubblicato solo quando la rispettiva Direzione ha accordato che è stato prodotto secondo le norme di stile editoriale dell’Organizzazione (ad esempio, la Faohoustyle o l’elenco delle parole suggerite per i testi della FAO, organismo collegato all’ONU) e revisionato secondo la banca dati di terminologia prodotta nel tempo e aggiornata di frequente.
Notevole lo sforzo di standardizzazione, elemento nel quale, mi si dia licenza, trovo quello “sforzo comune” e quel “sappiamo cosa fare” del brano da me riportato come primo paragrafo di questo lavoro. Ed, infatti, è proprio così: nel trovare un linguaggio comune per la comunicazione, i pescatori nicaraguesi che cercano lumache (ad esempio) lungo le coste del Mare dei carabi, utilizzeranno nella commercializzazione del loro prodotto, le stesse parole (misure, quantità, qualità ecc.) dei loro colleghi vietnamiti impegnati nello stesso lavoro, parecchie migliaia di chilometri lontani. Questo, già di per se, non è un inizio, ma un eccellente risultato!
La standardizzazione della comunicazione è veramente il primo passo per raggiungere l’uguaglianza tra le nazioni. L’ultima frontiera da abbattere è proprio quella della non comprensione (nel senso linguistico) tra i popoli del mondo. Ed il meccanismo messo in piede dall’ONU si è rivelato veramente idoneo proprio perché è utilizzando gli stessi concetti, imparando la lingua delle Nazioni Unite che ci riforniamo di uno strumento di lotta contro la povertà, contro l’analfabetismo e per lo sviluppo rurale sostenibile delle popolazioni del mondo.

Qualche anno fa iniziai a collaborare come vendor per le Nazioni Unite nel campo delle traduzioni, revisioni e dell’editing (rielaborazione redazionale). Da subito la sfida mi sembrò notevole e l’impegno per raggiungere lo standard proposto dalla Direzione di infrastruttura rurale ed agroindustrie (AGS - FAO) era anch’esso enorme.
Nei diversi contratti di collaborazione ho lavorato spesso e volentieri nel campo della pesca, la diversificazione dell’agricoltura e dello sviluppo sostenibile (improntati nella lotta per la mitigazione della povertà e la sicurezza alimentare), specializzandomi nella traduzione di questo tipo di terminologia.
La pesca, da me proposta come spunto per questo lavoro, è sempre stata presente nelle preoccupazioni delle Nazioni Unite circa lo sviluppo sostenibile, l’esaurimento delle risorse, e come mezzo alternativo di generazione di mezzi di sostentamento e di ingressi economici per le popolazioni che si sono stanziate nelle vicinanze di fiumi, laghi e del mare.
In materia di sviluppo economico (al di là dei conglomerati di popolazioni stanziate nelle zone forestali, rurali ed urbane) moltissimi abitanti del mondo vivono lungo le coste rivierasche e marine, sfruttando (anche con mezzi non sostenibili) i prodotti ittici per il loro immediato fabbisogno.
Ricorrente, nei testi delle Nazioni Unite, la preoccupazione per le buone pratiche agricole, di pesca, e la sostenibilità . In questo campo l’impegno ha sempre avuto la precedenza ed alcuni risultati sono lodevoli; ad esempio il Codice di condotta per la pesca responsabile della FAO, è uno sforzo colossale di traduzione in più di 25 lingue, dall’albanese fino al vietnamita! In questo, ed in altre innumerevoli direttrici e testi per la pesca responsabile, spaziano consigli, progetti, proposte e piani di azioni e di intervento, per regolare la pesca a tutti i livelli iniziando proprio dai villaggi di pescatori dei paesi in via di sviluppo. Si confà anche all’impegno dei governi per portare avanti i progetti proposti dalle Nazioni Unite e tutte le azioni necessarie per la dovuta sorveglianza e controllo dei risultati.
Questa, a dire il vero, è la parte più bella del lavoro di traduzione, forse pensare che con il proprio lavoro si sta contribuendo con il granello di sabbia ad aiutare ad affrontare i problemi e le vicissitudini delle diverse popolazioni del mondo. La parte tecnica, specifica, invece, è lastricata di moltissime ore in isolamento tentando di trovare “la parola giusta” (equivalenza) per trasmettere lo stesso messaggio con un codice linguistico diverso, quello della lingua di arrivo.
La scelta di ogni singola parola, quando si lavora nel campo delle traduzioni, ha una logica specifica che molte volte non riesce a trovare altra spiegazione che quel lungo processo di standardizzazione della terminologia intrapreso dalle Nazioni Unite.
Ecco da dove nasce la mia proposta di terminologia peschiera per questo lavoro. Ho scelto di analizzare alcune parole senza un giudizio preciso. Non sono le più difficili, né le più ricercate, nemmeno quelle di uso più ricorrente.
Il linguaggio della pesca, per concludere, come tutto il linguaggio dell’ONU, è in continua trasformazione e molte volte ho dovuto mettermi d’accordo con gli autori per proporre delle interpretazioni proprie da utilizzare. Questa è forse la parte più interessante del lavoro di traduzione: essere capaci di contribuire alla ricerca di un punto di partenza (la capacità di dialogo tra i diversi popoli del mondo) per affrontare meglio la lotta contro la povertà e gli aspetti dello sviluppo sostenibile.

mercoledì 15 ottobre 2008

SLANCIO ASIMMETRICO


SLANCIO ASIMMETRICO
(di Francesca Micacchi)


Tra desiderio e realtà, nella silloge poetica di Francesca Micacchi, Slancio Asimmetrico, vi è un’infinita sfumatura di sensazioni, di vividi colori, di pennellate artistiche che (ora con chiarezza, ora con soavità, ora con desiderio di toccare con mano il dolore, ovvero l’amore) dipingono i quotidiani sentori dell’umano amare. Non più l’amore elevato alla sua infinitesima potenza, ma le tonalità rivestite dell’amor di donna: totale donarsi, paure, desideri, rabbia, nostalgia, silenzi e, di nuovo ancora tornare a credere… desiderio.
Desiderio non come sinonimo di voglia, ma di volontà innanzitutto di tornare a credere perché proprio nell’amore (nella sofferenza procurata dall’amore) la poetessa riesce a dipingere l’esistenza, a confrontarsi nel contornare stati d’animo, delusioni. E torna a credere ancora una volta nella bontà del provare amore. Non si fa trascinare dall’incertezza proprio perché consapevole che il cammino la trainerà verso il piacere.
Molto marcato in questo componimento poetico il passare indolente e inesorabile del tempo, le rimembranze di primitivi affetti, la malinconia o verde nostalgia, la concettualizzazione della felicità in un desiderato abbraccio. Ma anche il coraggio nel restare saldi, ed infine la rabbia, ma è solo l’inizio. La svogliatezza. E riparte il ciclo. Perché solo chi ama sa reggere con stoicismo e dignità il dolore! Solo chi ama dimentica. Solo chi dimentica torna a credere, torna ad amare. Ma nel dimenticare si va perdendo attimi di ragionevolezza ed è proprio forse per questo che nell’illusione di un rivenuto amore ci si dimentica del male provato… bello ed eterno, come la città omaggiata... appunto, come l’amore. Ho inteso il dolore?
Slancio asimmetrico… il pregio non sta nel tornare a credere ma nell’energia rinnovata con la quale impetuosamente, quasi con accanimento, ci si protende alla vita e, di nuovo, alla speranza. Ma l’asimmetria non è altro che parafrasi dell’equilibrio: punto di osservazione dal quale (scrostandosi dalle spalle l’esperienza vissuta) l’amore/dolore offrono una piena corrispondenza di forma. Due facce della stessa medaglia. Elementi indispensabili, perché l’assenza del primo è mancanza anche del secondo. Impervio confine di sopraffazione, e nell’amore e nel dolore, l’infinito sconosciuto e l’anima che si intossica di desiderio… e nel distacco dell’amore l’affinità del dolore e viceversa.
Due estremi dello stesso intendere, all’interno, sinfonico miscuglio di armonia amalgamato dallo stesso volere. Coscienza dell’andamento dell’amore infinitesimale e sempiterno, e del prezzo da pagare: il dolore.
Virus endemico o prezioso dolore? Compenetrazione di contrari, affastellare di diversità. Vitalità scaturita dall’incertezza, dove arcana è l’emozione che non si lascia ghermire e sparisce tra il fogliame, scetticismo della redenzione… L’artista poliedrica Micacchi ha così dipinto l’amore nella consapevolezza dell’unicità con il dolore. Dalla sua riflessione seduta innanzi al calamaio della vita, allontana lo sguardo al di là della finestra dove il vento d’autunno trascina una foglia secca quasi a rappresentare ora l’amore, ora il dolore… e mentre spennella su un foglio e su tele versi che parlano di queste riflessioni allunga la mano quasi a voler con questo gesto melanconico intuire la vita…
… e nell’intuire la vita, ha concepito l’automatismo intermittente quasi a soddisfacimento di un bisogno ricorrente, primario, che puntualmente giunge alla fine dolente e insostenibile… ed è esattamente questa la ragione per la quale solo chi non ha mai provato il dolore misconosce l’amore.
Víctor Ramón González García

venerdì 10 ottobre 2008

INDICE DI GRADIMENTO

A me, a dire il vero questo governo piace, e molto!
E’ vero che sono finiti i tempi dei baci (dico tradimenti) e dei politici che ricattavano il governo, ma, nell’insieme si sta lavorando bene. C’è una crisi mondiale ma non toccherà l’Italia proprio perché abbiamo il governo giusto che si preoccupa degli operai e dei pochi soldini che abbiamo in tasca e quelli non ce li toccherà nessuno.
È simpatica la Gelsomini (la ministra di non è la rai), quando afferma che aveva votato per i fascisti. Oggi giorno è difficile dire ciò che uno pensa e parlare con tanto orgoglio di condividere una ideologia che fece tanti milioni di morti… il suo lavoro per la scuola va a gonfie vele: gli alunni possono pestare gli insegnanti perché rimangono impuniti; ci sono troppi insegnanti, bisogna licenziare qualcuno; la scuola è troppo difficile, bisogna assegnare dei bei voti in pagella (anche perché se non ti pesta lo studente, ti pesta suo padre che ha lo stesso livello di preparazione). Peccato che la Mortati sia una femmina, se era un maschio chissà che bel pargoletto veniva fuori da lei e la Gelsomini. Mi piace anche quel simpaticone della cravatta verde, lo volevano fare ministro del Welfare o de la deregulation ma non riusciva a pronunciare queste parole e si vergognava, quindi gli hanno cucito addosso un ministero ad hoc: la semplificazione. Ora cosa debba semplificare non mi è chiaro, ma si sa, io sono ignorante, sono loro che si fanno eleggere, noi solamente li votiamo.
Io, a dire il vero avevo votato per quello di sinistra, non mi ricordo il suo nome, ma è da quando abbiamo perso che mi sento un coglione ombra! Ma mi sta bene, così mi imparo.
Simpatico anche quello della pubblica amministrazione, Brunelli, contro i fannulloni e i graffitari. Si vede che è molto preparato. In fondo, avevamo dei governi di sinistra, garantisti. Timbravamo il cartellino e poi ce ne andavamo a spasso… mandavamo dei certificati fasulli e restavamo a casa con delle influenze semestrali, oppure lavoravamo da qualche altra parte e percepivamo lo stesso lo stipendio dello stato… tempi passati, certo! Oggi tutte quelle cose non si possono fare, anche perché abbiamo sputato nel piatto nel quale mangiavamo.
Mi piace anche il boss della lega (certo Alberto Pozzi) con la sua idea del permesso di soggiorno a punti. Una sorta di pagella nella quale si segnano i voti degli extracomunitari. Intelligente, direi! Se non mi cambi bene il pannolone ti tolgo tre punti! Nei suoi rari momenti di lucidità pensa ancora di essere partigiano e di avere i fucili in caldo… ma i fucili, si sa, devono stare al fresco, se non si rovinano… ma questa è un’altra storia. Mi piace anche quello che fa il ministro dell’economia, Treccani, e quando si incazza sono guai!!! O mi cambiate questa legge o me ne vado! Vediamo quando tira fuori la scarpa e comincia a battere il tacco contro il suo tavolinetto… ci rassicura sulla crisi e mi sento fortunato di stare in questo paese proprio perché l’economia italiana è la più forte al mondo e non c’è crisi che la possa rovinare. Stiamo tranquilli, tra due anni tutti i nostri risparmi e investimenti avranno il vero valore (oppure non ci saranno più, ma tra due anni negheremo di avere detto queste cose). È simpatico anche il presidente camerata, quello dei tortellini. Ci sa fare e dice delle cose interessantissime, ma a volte mi confonde perché non riesco a capire di quale paese stia parlando, forse è professore di storia e parla di una Italia d’altri tempi, d’altri ventenni. Non lo so…
Non c’è un ministero della sanità o della salute. Anche perché siamo tutti giovani e forti, nel bel mezzo della nostra salute. Scoppiamo di salute. Sani come un pesce. Non ci sono anziani con problemi in questo paese e quindi una politica di governo per quanto riguarda la sanità è inutile. Abbiamo il miglior governo del mondo!!! Quindi non vedo perché dovremmo ammalarci. A dire il vero avevano proposto questo ministero al Dr. House. Ma lui gentilmente ha rifiutato adducendo che gli piaceva torturare i suoi pazienti uno alla volta non in massa… e che aveva paura di prendersi qualche malanno al Policlinico. Poi ci ha ricordato che era un attore e che, in realtà non sapeva niente di medicina. Al che gli hanno pregato con ancora più insistenza di assumere il ministero della sanità. Qualcuno gli ha detto, addirittura, che tutti gli altri ministri erano nelle stesse condizioni! Non sapevano un tubo!
Comunque vi dicevo, il più originale di tutti è quel simpatico vecchietto dei permessi di soggiorno a punti. Ogni tanti prescrive dei calci in culo, le fucilate e tutte queste cose. Poi si rintana da qualche parte e sparisce, ecco perché non mi ricordo il nome. È vero, gli stranieri bisogna torturarli un pochino, stargli addosso. Non sono come i bravi cittadini italiani, e che cavolo! Vi cito, giusto per amore di cronaca due categorie: nella prima gli operai, i calzolai, quelli delle tende da sole, i carpentieri, muratori, ecc. Nessuno di loro ti rilascia la fattura e ti dicono chiaro e tondo che non lo fanno perché non vogliono pagare le tasse, ma questi sono operanti empirici. Nella categoria di quelli che hanno studiato per non pagare le tasse: gli psicologi, dentisti, avvocati, consulenti vari, ecc. La lista è lunghissima ma non vi voglio annoiare con queste piccole cose. Forse anche i politici dovrebbero avere il lavoro a punti. Se non sono al lavoro un punto in meno, se fanno delle leggi giuste un punto a favore; se si approfittano del loro posto per fare le leggi ad hoc e pararsi il culo, dieci punti in meno… ma ho paura che questo sistema lascerebbe vuoto il parlamento in due giorni.
Gli stranieri, invece, fregano uno stato che non è loro (solo gli italiani hanno il diritto di fare di tutto per non pagare le tasse, che sia chiaro). Quindi, se mi guardi storto ti tolgo un punto. Se mi chiedi lo scontrino dopo che ti ho dato il cappuccino e il cornetto, ti tolgo due punti. Se rompi le scatole che vuoi essere messo in regola, ti metto in regola ma ti sequestro il passaporto, così mi garantisco il diritto di sfruttarti solo io… ma forse il ministro ha ragione. Li dobbiamo cacciar via, tutti. Via tutti i 3 milioni e mezzo di stranieri…
A dire il vero, anch’io sono straniero. E come controproposta penso che una volta cacciati i 3 milioni e mezzo di stranieri, dai nostri paesi possiamo omaggiare mandandovi indietro gli italiani che stanno da noi. La quantità non è specifica ma supera abbondantemente i 40 milioni. Ma si sa, il paese ne trarrebbe molti benefici con le politiche sociali. Visto che non ci saranno più stranieri che sono il vero problema di questo paese, gli altri 40 milioni di italiani possono tornare e campare alla grande…
Oddìo, speriamo che nel frattempo non continui questa storia dei punti… e che non vada a finire che ci mettono anche la carta igienica a punti. Tutta questa situazione fa cag… e se mettono la carta igienica a punti, ecco, questo sì che sarebbe un bel guaio!!!

domenica 5 ottobre 2008

Primer aguacero - Luis Alberto Cabrales

Primer Aguacero

ANOCHE, toda la noche,
cayó el primer aguacero.
Por eso
alegre estaba el campo en la mañana
con su camisa blanca de todos los domingos
y el pantalón azul de la Semana Santa.
Alegre estaba el campo
de azul y de blanco.
Silbando se fue a la ciudad
con su nuevo sombrero de pita;
trascendía a hierba, a fruta y a humedad.
Como viera los árboles todos llenos de trino,
como viera las nubes todas llenas de sol,
compró para el colocho
un centavo de olor
en la venta que puso mayo en el camino.

(Dedicado a mi sobrino: Hamilton Javier Espino González)

Reseña literaria

Nicaragüenismo: Al saborear este bellísimo poema de Cabrales (Primer Aguacero) el primer aroma que envuelve el entorno es una gran ternura y concreción, donde se aprecia ese fuerte calor nacional que siempre acompañó al poeta en su vida cotidiana y literaria, que busca frenético en sus prosas y sus versos un tono más cercano al habla cotidiana y al paisaje nicaragüense, a ese nicaragüense sol de encendidos oros que su maestro, el gran Rubén, cantara tiempo atrás. Y no sólo es notorio que su poesía «siempre dulce y su prosa, ácida [...] discurre constantemente, sobre campos que su maestro Rubén Darío apenas vislumbró, y que sólo él logró desbrozar para que otros sembraran y cosecharan»[1].

[...] Alegre estaba el campo /de azul y de blanco.

Sacude a primera vista su impresionante amor por la patria donde con maestría vanguardista quiere plasmar la alegría y sueña pintarla con palabras... poesía que más que ser leída es ofrecida para ser saboreada, tocada con las manos... inmortalizada con los heroicos matices del glorioso pendón bicolor. Transmite la dureza del sacrificio, de la renuncia a la internacionalidad para empaparse de lo nacional, de lo cotidiano «como atributo a una posesión más íntima y a un quehacer cotidiano más puro e inmediato»[2], hasta fundirse en la cotidianidad de la noche mientras el cálido viento de la semana mayor celebra con júbilo la llegada de las primeras lluvias de mayo.

[...] con su camisa blanca de todos los domingos
y el pantalón azul de la Semana Santa.

Cabrales homenajea la lluvia[3], cual profana deidad a la que se elevan las plegarias campesinas para que irradie sus gotas de fertilidad que harán florecer la vida del vientre de la tierra. Esa tierra de un tiempo donde los ojos grandes y negros de una niña campesina sueñan con la ternura de un mozo y al escuchar las serenatas de los grillos brillan ruborizados, incrustados en su tez morena con el pasar del lucero del alba y el inicio de las primeras faenas del nuevo día...

La lluvia es un concierto, es un allegro, un crescendo de notas y tonalidades que en los techos de paja, de zinc, en los charcos, con su sinfonía promete que el caudaloso rumor de la quebrada va a traer paz y vida este año también. Es a la lluvia como diosa de la fertilidad que canturrea Cabrales ofrendándole este villancico lleno de ternura y de amor por esa primera agüita de mayo que empapa la tierra y hará crecer y fructificar la cosecha.

Canta a la lluvia dejando a un lado el lirismo y la ideología que con Charles Maurras lo incitó al fascismo en esas oscuras páginas de la historia europea y universal que habrían de cobrar más de cincuenta millones de vidas inocentes durante el segundo conflicto mundial. El canto, en cambio, es un himno a la gloria, las notas, el tic-tac incesante, rítmico de la lluvia será dentro de poco mango, almendra o mandarina: lluvia que inicia una época, un repetirse de labores campesinas que desde la siembra (a lo largo del abono, de la cosecha, del corte, de la pepena, la repela, etc.) irán cantando melódicas notas hasta que la fertilidad de la tierra se convierta en vida, en vida nueva y el compasado ritmo de la lluvia se mezcle con la risa de los niños que juguetean y corretean en el fango como representando “La Danse” de Matisse... baile a la vida como en una composición poética más madura, más dulce y jugosa, más íntima que plasma un cotidiano acontecer... auténtico, puro e inmediato. Así es, porque en esta poesía amorosa de Nicaragua se percibe que en los huertos amicales de Cabrales florece y fructifica la vida, jamás el egoísmo. ¡La palabra injusticia jamás fructificó!

Lírica y política: Se aprecia también en esta obra poética una severa crítica hacia la falsa moral y sobre todo a la militancia religiosa amañada, hipócrita. Julio Valle Castillo (novelista y crítico literario) en su prólogo a Ópera parva, elogiaba la «potencia lírica que, segura de su capacidad, se impone deliberadamente restricciones». Representa a Cabrales como «un poeta sentado en el trono de su primera persona [...] que divide y une el amor y la muerte, como la mayoría de poetas que en el mundo han sido. Y es esa fuerza lírica la que le otorga vigencia, modernidad, actualidad a su poesía tradicional y conservadora, la que lo hace trascender sus limitaciones y aberraciones ideológicas y asimismo le dispensa y neutraliza sus excesos y deficiencias [...]»[4]. Es exactamente esa la fuerza lírica que se aprecia en Primer Aguacero. Potencia lírica que justifica la trasnochada atmósfera romántica de la poesía, casi como si la lluvia tanto esperada nos sorprendiera con un cántico nuevo, con una nueva modalidad de florecimiento. Como si el milagro de la vida tras la siembra fuera un evento inesperado para vestirse de blanco y celebrarlo en cualquier ermita dominical montaña adentro, adobados a fiesta, olvidando por un instante que la mayor parte de esa naciente vida se perderá en las inhumanas ambiciones de los terratenientes como «la más cruenta mercancía para los mercados imperialistas: arruinando al campo y al campesino juntos»[5].

[...] Silbando se fue a la ciudad
con su nuevo sombrero de pita;
trascendía a hierba, a fruta y a humedad

Llueve también la denuncia, aleaciones estéticas y contradicciones políticas. El poeta denuncia la vida y también la situación que experimentan “los que viven”. La lluvia deja de ser un fenómeno meteoro-lógico para convertirse en un ente vivo que observa, planifica y decide dónde y cuando inundar con su caudal de amor y vida. El campo se viste de blanco. La Semana Santa, vestida con su pantalón azul, observa los últimos días del árido abril y mayo agasaja los primeros aromas de la estación de las lluvias “poniendo una venta” de olores donde es la misma lluvia que va a realizar su abastecimiento. Casi como querer reprochar el mercantilismo que se ocasiona de una lluvia que quiso llegar de madrugada para ofrecerse gratis en el proyecto de la vida mientras la mano invisible de la oligarquía teje la tela en la cual se quedan atrapadas las esperanzas de los campesinos y el dios dinero afila su hoz para golpear también esta vez a los más sufridos.

Conclusión: Leyendo la poesía en sí, sin querer hablar de la atmósfera nocturna que marcadamente recuerda a José Asunción Silva o a Amado Nervo, la potencia lírica del autor y su férrea defensa del Sumo Poeta padre del Modernismo (Rubén Darío), Cabrales transmite infinita ternura y esperanza con su composición poética. El canto de la tierra que se empapa de la cotidiana vida representada por la lluvia. Es la supervivencia de los audaces, de los madrugadores que desayunan sol y lluvia para ofrecer sus diarias faenas en el proyecto de la arquitectura de la vida.

La poesía es cíclica, representa, pinta con palabras las escenas que tras miles y miles de años se han repetido en el corazón de la montaña, contaminándose ahora por el espíritu político de las vivencias del momento, ahora por la costumbre religiosa, ahora por la memoria histórica. Queda presente en la poesía de Cabrales la continuidad de la existencia, de la vida. La perpetuidad de la esperanza, del canto a la madre naturaleza, el retorno a lo ancestral y lo divino y la contaminación del dios pagano. Porque el ciclo de la cosecha, el ciclo de la vida, el ciclo de la lluvia lo envuelven todo.

Al cantarle a la lluvia, Cabrales canta a la continuidad: es la lluvia que lleva y trae las vivencias, es la lluvia el punto de unión, de fusión con los antepasados. Es la lluvia el punto de contacto con el futuro porque su canto puede traer vida o trae muerte... sin embargo, el poeta, consciente de esta gran contradicción canta a la vida arrastrada por la lluvia porque está en el ánimo del “campo” nicaragüense tener intactas la esperanza, la lucha, la fe en el futuro.


[1] G.R. Tablada, Cabrales. El último juglar, La Prensa Literaria / Sábado 1 de diciembre de 2001.
[2] G.R. Tablada, Ibidem.
[3] Fue el primer poeta que le cantó al primer aguacero nicaragüense [Nota del ensayista]
[4] L.E. Gutiérrez, Recordando al inolvidable Luis Cabrales, El Nuevo Diario, 8 de octubre de 2001.
[5] G.R. Tablada, Ibidem.

martedì 6 maggio 2008

Lo tsunami della fame vs 4 giorni di guerra in Iraq

  • 1.500 milioni di persone guadagnano meno di due dollari al giorno e spendono più del 60% in alimenti;
  • Affrontare la fame nel mondo equivale a 4 giorni di guerra in Iraq;
  • Un miliardo di persone vivono con meno di un dollaro al giorno;
  • Ogni vitello che nasce in Europa riceve un sussidio di due dollari al giorno…
  • Quante cose avremmo potuto fare nel mondo con ciò che si è speso in 5 anni di guerra in Iraq?

La comunità internazionale non deve disattendere l'appello dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per la Agricoltura e l’Alimentazione (FAO) in questo nuovo e terribile “tsunami della fame”.
Secondo la FAO (che in giorni precedenti aveva lanciato “l’allarme fame” per centinaia di milioni di persone) l’incremento nel prezzo degli alimenti che ha prodotto “disturbi della fame” in 37 paesi in via di sviluppo potrebbe essere risolto dalla comunità internazionale che (negli informi finali delle 27 agenzie e programmi collegati alle Nazioni Uniti riunitesi in questi giorni, a Berna, per l’analisi di questa drammatica situazione) viene invitata a donare 2.500 milioni di dollari “urgentemente”.
«2.500 milioni di dollari corrispondono a quattro giorni di guerra in Iraq ed è ciò di cui il World Food Programme (WFP) e la FAO hanno bisogno per mettere in moto i meccanismi necessari per frenare la fame. Bisogna stabilire delle priorità e quando c’è volontà politica, tutte le cose hanno una soluzione», sostiene il portavoce della FAO per la Spagna, Germán Rojas.
«È da molto tempo che la FAO avverte che si sarebbe arrivati a questa situazione. Di fatto, nella visita alla Spagna del Direttore Generale, Jacques Diouf, nell’ottobre scorso, già erano necessari 1.700 milioni di dollari di aiuto internazionale per i paesi di scarse risorse economiche e che affrontano scarsità di alimenti, cioè, i poveri tra i poveri», aggiunge Rojas.
Il portavoce della FAO spiega che «a livello mondiale ci sono 1.500 milioni di persone che guadagnano meno di due dollari al giorno e spendono il 60% per comperare alimenti. E i 2.500 milioni di dollari che si chiede alla comunità internazionale saranno destinati a risolvere problemi estremi: non è una previsione di qualcosa che accadrà in futuro, ma una cosa che già sta succedendo ».
Il bisogno urgente di prendere delle misure ha generato anche la creazione, di forma congiunta tra le Nazioni Unite e la Banca Mondiale, di una nuova unità di emergenza per far fronte alla crisi, sotto la direzione di John Holmes.

giovedì 1 maggio 2008

Estoy pensando en vivir:
vivir sin soñar,
para soñar,
después de soñar,
estoy pensando en volar
para salir
y estrellarme
en un mundo diferente.

(desmovilización del servicio militar – Nic 1989)


OBJETIVO

Cuando Cristo cargaba su cruz
cada paso era más duro
más difícil cada paso,
cada movida hacia delante
era más cercana del calvario.

Hoy yo cargo mi cruz
y pesa,
pesa luchar por el obrero,
llevar pan al estómago olvidado
y poner una sandalia al pie lodoso
de alguien que no sabe
el sentido concreto de mi cruz.

Yo cargo mi cruz con orgullo,
he dejado el camino del calvario
para marchar hacia el futuro
es por ello cada paso más liviano,
es por ello cada día más humana
esa cruz que con el fango
carga mi alma.


EL DÍA QUE CAIGA

El día que caiga
yo no quiero llantos, tampoco tristezas,
no quiero lamentos de amarga entereza,
yo no quiero lutos ni tristes rosarios,
quiero que me canten sones libertarios
de mi Nicaragua que yo quiero tanto;
fieles testimonios y no amargos llantos,
quiero que mi tumba sea clandestina
cuando yo me muera.


DOÑA JUANITA DIRÁ QUE CRUZ CAYÓ

Ay qué dolor tremendo!
La madre de un héroe caído
llevando un mensaje de agonía
a su hermana, del hijo mutilado.
Es como parir mil veces
viendo el pedacito de vida salir
y de su vientre convertirse en nada,
es como sangrar mil veces
las heridas de su alma
que siguen siendo abiertas.

Es como ver caer al hijo amado
una y otra vez,
revolcándose el calor caliente
de desesperación.

Es como ver llorar
los azules luminosos ojos claros
que apuntan firmemente hacia el futuro
y verlos morir una vez más!

Ay, que dolor tremendo!
Un millón de plegarias hacia el cielo
mientras Dios, allá en lo alto
sueña con despertarse.


ISAACS

Isaacs,
no sonrías más a ella que te llama,
no soporto tu sonrisa tranquila,
me duele que sonrías.
Yo lo sé! Dios mío! Yo lo sé
ella te llama y tú caminas
sin quererlo, sin evitarlo
sin quererlo evitar,
sonriendo.
Ella te llama, yo lo sé
y no puedo atarte a nuestro lado (porque te queremos)
me duele tu sonrisa.
Yo no quiero decirlo:
no me verás doble,
no sonreirás.

Golpea más tu sonrisa que el llanto
ya sin miedo a nada,
no sonrías,
por favor!
Ya no verás la fuente seca
de los ojos de tu madre,
no sonrías, te llama,
corre al lado mío, de la vida,
yo guardo tu secreto con piedad
yo lo sé, por Dios que yo lo sé!
Te vas a ir quedando dormidito,
muriendo despacito.
No!
No sonrías, por favor, no!
Respira bajito mientras duermes,
mientras mueres.


A LA MEMORIA DE JULIO SÁNCHEZ RODRÍGUEZ

Ibas a cerrar los ojos,
el rugido de tu cohete atrofiado
y el disparador ansiando una caricia,
ya no eras vivo,
tampoco muerto, tampoco…
Susurrabas quedito un “patria libre”
y tus ojos me decían:
“yo no muero,Yo no muero”,
“por la patria
sólo muero”.
No luchabas contra ella,
sólo te dejabas llevar,
corriendo a su lado
cerrando los ojos despacito.
No pude escuchar lo que decías
yampoco pude ver tu tez morena
hoy rojinegra,
no pude,
por el ruido libertario
de nuestras armas al combate,
no pude más que disparar con odio,
“o morir” te contestaba,“o morir”.
Comprendía, no morías,
vivirías aquí con nosotros
luchando, riendo, gritando “adelante”.
Eso es, “adelante”
porque has andado el camino primero,
el de todos ellos
de todos nosotros.
Y es preferible morir,
morir gritando “patria libre”
que ver un niño más descalzo,
que un estómago vacío.

La sangre roja que donaste
chocó violenta con la tierra negra.

BIENVENIDO AL MUNDO

Cuando vos hayás crecido
voy a inventar las leyes del país
voy a prohibir que anden niños descalzos,
ni habrá tristezas, ni llanto, ni agonía,
eso haré.
Voy a sembrar escuelas por doquier
enseñándote a labrar la tierra,
voy a donarte soles de victorias
donde mi vida no sea un mural
ni una consigna echada al viento.
Voy a enseñarte a amar el bicolor
rojo y negro, azul y blanco
y vas a aprender a ser honesto.
Todo tendrás y más que mi cariño
el resultado de nuestro sacrificio.

REFLEXIÓN(SIGLO XX)

¿Y volviste a nacer en esta era
20 siglos desde tu natalicio?
¿Te adaptaste al clima, a la esfera
del amor al trabajo, al sacrificio?

¿Y tu madre una virgen pura fue?
¿Fue tu padre un santo desconfiado?
ella muévese entre ramas de café
y él trabaja entre fusiles y el arado.

¿Quién es ella defendiendo tan segura
la semilla de nuestra libertad?
¡Es María! No es la virgen pura
impregnada del don de la bondad…

Y su esposo no es un carpintero
ya las cruces dejó de construir
hoy empuña el fusil guerrillero
a los contras se marcha a combatir.

Y ese fruto de amor de la lucha
(bendición de la unión corporal)
bellos cánticos de amor escucha
y despierta en el alba triunfal.

El imperio con reuma y con fiebre
agoniza en su lecho postrado,
ves, tu cuna no fue ese pesebre
¡fue un pedazo de amor liberado!

No naciste 20 siglos hace
ya no hay reyes que honren tu amor
es la época, la era, la fase
de luchar por aquel que cayó.

No hay estrellas sobre tu cabeza
indicando tu fecha natal,
ya no hay llantos, tampoco tristezas,
sólo hay pueblos de dicha total.

No tendrás doce esclavos cobardes
que disputen lavarte los pies
sólo hay gentes de sangre que arde
por luchar y luchar, ¡eso es!

No temás si naciste ahora
cuando lucha consciente verás
sentirás muchas veces la aurora
y el amor por el pueblo, ¡y más!

No abrirás horizonte en tus bazos,
ni dirás más palabras de amor,
tus ideas serán los balazos,
tus acciones, fusil bienhechor.

Y andarás muy tranquilo y confiado
verde-olivo vistiendo, ¡habrá luz!
Vivirás en el pueblo deseado,
No temás: no habrá clavos, ni cruz.

RÉQUIEM PARA UNA SOCIEDAD EN DECADENCIA
(en pro del socialismo)

Pronunciar tu nombre me da miedo
(también a todo el mundo)
al saber que significa en el futuro
no más ángeles de pies desnudos,
no más hambres, no más sufrimientos.

Temo, al querer decir tu nombre
que me quités todo lo que tengo
y siento que el dinero de mi bolsa
no alivia el hambre ajeno.

Pienso que la vida es maravilla
(tu nombre omitiendo)
porque los descalzaos que circulan
no son ya mis adeudos.

Y mis pies de indio privilegio
descansan sobre esponjas y pantuflas:
Doña Juana llora entristecida
por no tener café para sus nietos.


PENSANTE

¡Vaya, vaya, Jesucristo!
¿Quién puede dudar de ti?
¿Es por ti? ¿Realmente? ¿Existo?
Lo que vivo, lo viví.

Alguien habla tontamente
de ilusiones y alegrías
no te ven omnipotente,
¡no te creen hoy en día!

Diste vida generoso
¿sabías por y para qué?
Hoy por ti lucho gozoso:

Hoy la revolución esté
bajo tu agrado amoroso…
¡Hoy yo mato! ¿Me entendés?


ROMA

La ciudad vestida
calles asfaltadas
selvas de cemento.

Los niños no ríen
jóvenes ausentes
donde no se encuentra
la razón de ser.

Miles de personas
que invaden las calles
ninguno sonríe
ninguno te ve.

La gente se muere
en ausentes miradas
jas flores se mustian,
sonrisas no ves.

Derroche excesivo
miseria del alma
ninguno sonríe,
ninguno te ve.


NAVIDAD EN MI ESTILO

Montañas de juguetes
descansando sobre el hambre del obrero,
precios inalcanzablespara las vivanderas,
frijoles cocidos,arroz sin aceite,
y niños huesudos sin leche(el pueblo)guerra,
hambre, muerte,sufrimiento…
hasta Cristo teme nacer luego,
ya que su bondad no llega allá,
no llega a la pobreza de mi pueblo.

(Víctor González – en algún lugar de Nicaragua 1988)


venerdì 25 aprile 2008

Il riso, la morte e il dollaro

Rice, death and the dollar
By Spengler

The global food crisis is a monetary phenomenon, an unintended consequence of America's attempt to inflate its way out of a market failure. There are long-term reasons for food prices to rise, but the unprecedented spike in grain prices during the past year stems from the weakness of the American dollar. Washington's economic misery now threatens to become a geopolitical catastrophe.

Months ago, I offered that China, Russia and other cash-rich nations held the antidote to the incipient credit crisis: "If the US wants to remain the magnet for world capital flows it became during the 1990s, it will have to allow the savers of the world to become partners in the US economy, that is, to buy into its first-rank companies."(Western grasshoppers and Chinese ants, Asia.

No such thing occurred, of course, as Washington has made it clear that it would not allow sovereign funds to own the likes of Citicorp. What are the world's investors doing with the trillion dollars a year they used to invest in American securities, including subprime derivatives and various forms of collateralized obligations that turned out to have more obligation than collateral? They aren't buying American companies because they are not permitted to. They are buying food and other stores of value instead.

Washington has weakened the value of the dollar as a palliative for the credit crisis, so much so that "nobody seems to doubt that the US dollar will lose its status as the world's reserve currency", as journalist Amity Shlaes wrote in an April 9 Bloomberg News column entitled "Monks may hold clue to dollar's future".

"Perhaps the dollar won't surrender its anchor role so soon," Shlaes continued. "And perhaps that loss, if it comes, will happen because of events that take place nowhere near men in suits at a central bank. Maybe the answer to the dollar's riddle can be found in the cellphone photo image of a Tibetan monk in crimson and orange squaring off with a Chinese soldier ... China might recede into years of ethnic chaos. In any of these cases, the new Chinese government won't be forced to deliver the same growth, and therefore won't spend commensurate energy tending the dollar ... The flash of orange in the robe of the monk is important enough to change the picture for the greenback."

Misguided is not the word for this sort of thinking. However unlikely it might be, one cannot exclude the possibility that "ethnic chaos" will afflict China at some future point. The one thing that can be stated with certainty is that long before chaos reaches China, it will have shattered a great deal of the rest of the world.

China is exchanging its depreciating reserves of US dollars for things of value, notably rice, with frightening consequences for dependent countries, and deadly consequences for American foreign policy.

The chart below shows the price of 100 pounds of rice against the euro's parity against the US dollar during the past 12 months. The regression fit is 90%. There is an even tighter relationship between the price of rice and the price of oil, another store of value against dollar depreciation.

Rice price vs Euro/US$ rate, April 15, 2007 to April 15, 2008

As the chart makes clear, the ascent of the cost of rice to $24 from $10 per hundredweight over the past year tracks the declining value of the American dollar. The link between the declining parity of the US unit and the rising price of commodities, including oil as well as rice and other wares, is indisputable. China has bid aggressively for rice all year, and last week banned rice exports, along with Vietnam and several other producers.

Euro/US$ rate vs rice and oil, April 16, 2007 to April 16, 2008


For developing countries whose currencies track the American dollar and whose purchasing power declines along with the American unit, this is a catastrophe, as World Bank president Robert Zoellick warned the Group of Seven industrial nations in Washington last week. Food security suddenly has become the top item on the strategic agenda.

Never before in history has hunger become a global threat in a period of plentiful harvests. Global rice production will hit a record of 423 million tons in the 2007-2008 crop year, enough to satisfy global demand. The trouble is that only 7% of the world's rice supply is exported, because local demand is met by local production. Any significant increase in rice stockpiles cuts deeply into available supply for export, leading to a spike in prices. Because such a small proportion of the global rice supply trades, the monetary shock from the weak dollar was sufficient to more than double its price.

It is not only rice, of course, that the cash-rich countries of the world are buying as a store of value; the price of wheat, soy and other grains has risen almost as fast. This might deal the death-blow to America's hapless efforts to stabilize the Middle East, where a higher proportion of impoverished people eat off state subsidies than in any other part of the world. Egypt has been the anchor for American diplomacy in the Arab world since the Jimmy Carter administration (1977 to 1981), and is most susceptible to hunger. Food prices have risen by 145% in Lebanon and by 20% in Syria this year. Iraqis depend on food subsidies financed by American aid.

Reduced to essentials, America's foreign policy sought two unattainable objectives: to stabilize the Middle East and destabilize China. That is an exaggeration, of course, for Washington hoped not to sow instability, but only to put China in its place over the Tibetan affair.

The George W Bush administration might as well have used the State Department as a set for the Jackass reality show. American arrogance has eroded the ground under many of the governments on which its foreign policy depends. It is hard to characterize what will come next, except, like the stunts on Jackass, that it is going to hurt.

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mercoledì 2 aprile 2008

"Il pasto nell'ombra": incontro con l'autore

INCONTRO CON L’AUTORE: VLADIMIRA CAVATORE
M.Contini – M. Fraticelli *


La poesia è un’arte che ha in sé alcune qualità della musica: evoca stati d’animo e trasmette emozioni, forse più di quanto faccia la prosa, sicuramente in modo diverso.

Ne “Il pasto nell’ombra” (Edizioni Il Filo – 2008) , prima silloge poetica, in lingua italiana e spagnola, della scrittrice e saggista Vladimira Cavatore, emerge con forza il senso del sublime e della raffinatezza; la sua è una poesia densa di significato e di emozioni, una poesia le cui parole sono armoniosamente fuse in forma e contenuto.

Si coglie nel libro della Cavatore una continuità di ispirazione strutturata su alcuni motivi di fondo che portano il lettore “ad incontrare paesi che vivono all’ombra di società opulente; alla riscoperta di eroi di altre terre e personaggi dell’anima alimentati da un percorso interiore”, come ha finemente evidenziato Víctor Ramón González García nella prefazione al libro dell’autrice.

Vladimira Cavatore, nella piena consapevolezza dei suoi mezzi espressivi, ha intitolato il suo libro “Il pasto nell’ombra” poiché ha inteso tracciare alcuni aspetti dell’esistenza con occhio attento al sociale ma senza trascurare l’emozione dell’amore e, più in generale, della vita.

La Biblioteca Interculturale “Cultura Viva” ha ospitato la poetessa presso la sede del 18° Centro Territoriale Permanente, in Via Romana 187, venerdì 28 Marzo.
Una serata magica ed emozionante in cui la lettura di alcuni componimenti poetici è stata accompagnata e interpretata al flauto, con grazia ed eleganza, dalla giovane musicista Federica Chiaro che ha eseguito brani tratti da Debussy, Fauré, Stamidtz, nella scelta dei quali ha dimostrato gusto fine e sicuro; altre poesie in lingua spagnola sono state invece magistralmente interpretate dall’attore Giovanni Puglisi che ha saputo emozionare il pubblico valorizzando, nella sua interpretazione, i già forti e incisivi versi dell’autrice.

Unico neo della serata l’assenza dei giornali locali che, pur essendo stati invitati, hanno forse dimenticato l’appuntamento; certo queste distrazioni non aiutano a superare la difficoltà di rendere note e fruibili iniziative e incontri culturali utili a tutti e finalizzati esclusivamente ad aumentare la curiosità di “conoscere” e l’opportunità di “crescere”.

* “Cultura viva” - Biblioteca Interculturale

martedì 1 aprile 2008

Per sentito dire...

"Yes we can... si può fare..."

Eh già, si può fare schifo, direi... visto l'andazzo!

domenica 30 marzo 2008

  • 13 mil niños mueren de hambre cada día;
  • 200 mil muertos en Darfur en cuatro años y medio de guerra;
  • 1 millón de muertos producidos por la «democracia” impuesta a ritmo de bombas por los EE.UU. en Irak;
  • Mil millones de personas en el mundo viven con menos de 1 dólar al día;
  • Cada ternero que nace en Europa recibe un subsidio de 2 dólares al día;
  • Etc.

La sociedad civil romana molesta por la ingerencia inoportuna y continua de la Iglesia en asuntos fuera de su competencia

La continua ingerencia del Vaticano en los asuntos internos del estado italiano esta vez está llegando a alcanzar un grado de incoherencia sorprendente. En un mundo donde la guerra, el hambre, la desnutrición infantil y muchos otros males que nos amenazan cotidianamente, la CEI (Conferencia Episcopal Italiana) prefiere hablar de cine y de “escenas eróticas vulgares y destructivas”, refiriéndose a las escenas interpretadas por Nanni Moretti (prestigioso director de cine italiano) e Isabella Ferrari en la película “Caos calmo”, de Antonello Grimaldi.

Esta es la opinión de los obispos católicos italianos, expresada en una carta del responsable de la CEI para la pastoral juvenil, Niccolò Anselmi, sosteniendo que “de un excelente director de cine como Moretti y de un rostro sensible y delicado como el de Ferrari me esperaba una escena romántica, delicada, de ternura, talvez un momento de amor abierto a la vida, a un hijo”. Por el contrario, ofrecen una escena fuerte con dos actores que “hacen el amor de pie, vestidos, sin mirarse a los ojos”.

Por eso invitan a los “profesionales” del espectáculo a que no se presten más a escenas que podrían inculcar en los m más “débiles” “fantasías eróticas que se vuelven dependencias y generan violencia”.

¿Sorprendente, no? Críticas bastante pesadas a actores y directores de cine de prestigio y que han ganado muchos galardones en el ámbito nacional e internacional… en un argumento que para el Sr. Anselmi y los demás obispos del Vaticano es completamente desconocido: el sexo… o, al menos se espera que así sea. Miles de noticias diversas nos demuestran que, desafortunadamente, la iglesia mundial se encuentra metida plenamente en muchísimos escándalos sexuales y en numerosísimos casos de abusos y violaciones de menores…

Volviendo a la carta de Anselmi, las reacciones, por parte de la sociedad civil, no han sido pocas. Angelo Bonelli (de la lista política de los Verdi) sostiene que “parece estar regresando a 1972 cuando fue censurado ‘El último tango en París’ de Bertolucci,”. Por su lado, el director de cine Franco Zefirelli afirma que para la iglesia debería ser algo “de importancia mínima” todo lo que hace Moretti e invita a la Iglesia a que “tal vez sería mejor que hablaran menos. Que no expresaran su indignación a menos que fuera frente a los horrores del mundo que en verdad merecen, pero no de cosas irrelevantes como esta”.

La iglesia ataca fuertemente al telediario de la primera red italiana (TG1) acusándolo de haber mandando en onda la escena de sexo y de haber dedicado poquísimo tiempo a Kenya, donde se están dando estragos además del rosario de muertes por la miseria y la pobreza. El TG1 niega haber transmitido las escenas “calientes” del filme. Sin embargo, se respira en el aire institucional, laico, religioso, la observación de Zefirelli.

Escenas de sexo no, es mejor el cuchillo de Rambo
En estos días sale en las salas cinematográficas el enésimo capitulo de la serie sanguinaria Rambo, donde Silvester Stallone una vez más (esta vez en Birmania) nos regala un enorme listado de muertes, masacres, heridos, amputaciones y descuartizamientos con bombas “inteligentes” y todo el acostumbrado menú...

Ante la reflexión del representante de la CEI, me permito hacer una pregunta: ¿por qué turba tanto a los obispos una escena de sexo en un filme -dirigido a un público laico italiano de 60 millones de habitantes, en un país donde los católicos rondan escasamente el 10% de los habitantes- mientras no dice nada de un filme que propone el horror a razón de 2.29 muertos por minuto (según el cálculo de la prensa estadounidense)?

La solución a esta interrogante parece provenir de las palabras mismas de Stallone, en respuesta a una cronista que le preguntaba por qué en el nuevo episodio de la serie no había escenas de sexo: “Rambo tuvo un accidente en Viet Nam que le cortó algo, por eso usa un cuchillo grande”.

La sangre que corre como ríos, la búsqueda formas siempre nuevas y más eficaces (en lo que se refiere a la cantidad de muertos) son los temas que Rambo, el asesino en serie –pero en nombre de la libertad del Occidente- propone y que, sin embargo, parecen no turbar a los obispos italianos. El encuentro entre un hombre y una mujer, no… es mejor el cuchillo de Rambo que el sexo entre dos adultos.

El silencio absoluto del Sr. Anselmi ante las verdaderas atrocidades del mundo nos deja perplejos. Sr. Anselmi, ya que la Santa Sede se intromete continuamente en los asuntos inherentes a esta sociedad civil laica, permítame hacerle algunas preguntas: ¿durmió bien en su lujoso cuarto, calientito dentro de su pijama de seda? ¿se tomó un baño caliente? ¿se vistió con hábitos bien lavados, perfumados y perfectamente planchados? ¿tomó su acostumbrado desayuno? Me imagino que sí: tal vez es por eso que no se da cuenta que en el “mundo verdadero” una escena de amor en un filme es algo de importancia mínima ante las atrocidades que vive la humanidad cotidianamente y ante las cuales (la verdadera tragedia dentro de la tragedia) la iglesia observa un silencio religioso.

lunedì 10 marzo 2008

"Il pasto nell'ombra" o sea el coraje de escribir poesías

“IL PASTO NELL’OMBRA”, O SEA EL CORAJE DE ESCRIBIR POESÍAS

Víctor González*

Son indescriptibles las emociones, remembranzas y reflexiones que nacen al acompañar a la poetisa Vladimira Cavatore, en el viaje que nos narra con su reciente publicación, “Il pasto nell’ombra” (Alimento a oscuras). Hay que hacer una pausa tras cada grupo de versos, cerrar los ojos y tratar de aferrar con la imaginación las escenas maravillosas de los fantásticos países descritos por este infinito caudal de poesías que hace germinar todas estas emociones en un suave y frenético ejercicio de intelecto que pone a dura prueba la función representativa del lenguaje.

Concordemos desde ya que no se trata del viaje acostumbrado, organizado, con horarios y todo confort, sino de un viaje diferente, nacido de la enorme necesidad que tiene la poetisa de observar esas realidades que no tienen nada que ver con un hotel de lujo o cosas por el estilo. Este viaje ha sido ideado en búsqueda de la humanidad celada en las miradas dulces de los niños: en sus raquíticos cuerpecillos y en las sonrisas que ofrecen por doquier en un mundo contrastante donde la miseria y la pobreza, tal parece, generan la felicidad.

Es un viaje que abarca temas de geopolítica, filosofía, historia. La poesía narra vivencias, diversas fases, inmortalizando en versos el contraste de acontecimientos de esa otra parte del mundo; de ese mundo que preferimos ignorar en la comodidad y en lo calientito de nuestras cotidianeidades. Una miscelánea –de sabor más intrigante dado por la facilidad bilingüe de la autora- como elemento de reflexión que nos llega hasta lo más profundo y nos toca con la propuesta de imágenes olvidadas y que con prepotencia nos vuelven a la mente para recordarnos que existen también los demás, los que sufren, los que buscan en los basureros un poco de alimento, de supervivencia.

El título de esta composición -il pasto nell’ombra- trata de expresar, en un conjunto coordinado poéticamente, una reflexión sobre las injusticias de las sociedades que hemos construido: un mundo donde se ha globalizado la miseria y los mismos actores siguen enriqueciéndose “en demasía” a costas de esa gran mayoría de personas que a malas penas se ganan el pan para de la jornada. Grandes civilizaciones, herederas de grandes imperios que ya no existen, imponen su lógica de mercado. El resto del mundo, desde luego, la gran mayoría de la humanidad, soporta pero no en silencio: se rebelan, luchan pero su voz es ahogada por la potencia de los que se llaman patrones del mundo y, sobre todo, por nuestra indiferencia.

Recorriendo las páginas de este libro logramos visitar tantos lugares diferentes, identificarnos en tantas realidades (una vez más, contrastantes) y tenemos la posibilidad de reflexionar sobre las historias de esa parte del mundo donde parece que ya nada puede mejorar, pero la esperanza vive con renovadas fuerzas y está presente en todos. Nos motivará reflexiones sobre los grandes males de nuestra sociedad: la soledad de masa, el estrés, la depresión, la total indiferencia generada por la satisfacción de tantas necesidades inducidas, inútiles, el derroche y el individualismo... la superioridad del Ego.

Reflexionaremos también sobre mundos donde las tragedias naturales refuerzan los afectos, donde la sencillez de la vida cotidiana hace amar las pocas cosas que se tienen a disposición, donde aunque no haya sido posible derrotar el hambre se asiste al triunfo de la solidaridad, a la potenciación de la ayuda mutua, de la humanidad, de las sonrisas...

El mérito de la poetisa Cavatore está en haber sido capaz de pintar, con su inspiración, la enorme desigualdad que se observa en cada uno de estos países fantásticos y exóticos: la enorme contradicción entre la riqueza (de unos pocos) y la pobreza total (de muchos, muchos). Sin embargo, este mundo así como lo hemos concebido, lo descubrimos tras cada verso en las miles cualidades ya casi inexistentes en el viejo continente: un enorme jardín donde florecen niños que corren y gritan todo el día y con el rostro ruborizado por el calor regalan sonrisas por doquier. Madres-coraje que se dedican a jornadas pesadas de trabajo para derrotar la lucha cotidiana contra el hambre, contra las adversidades... y muertas de cansancio regresan a sus hogares y abrazan con felicidad a sus hijos regalándoles el tesoro más preciado de nuestros días: el tiempo.

La poetisa recoge, casi con extravagancia, todos estos matices y nos lo regala en una composición poética que ya está generando varios debates intelectuales y teniendo éxito.

La poesía en sí no debe ser analizada porque, desde mi punto de vista, no hay que explicarla. La poesía debe ser una interiorización individual en cada uno de nosotros. Debe ayudar a buscar nuestras emociones profundas, las que creemos haber olvidado para siempre. Y debe contribuir al nacer de reflexiones, de nuevas proposiciones... al menos para observar con atención el mundo en que vivimos y tratar de aferrar la belleza de la diversidad, de las culturas que nos rodean... dando lugar a nuevas formas de sentir y de amar legadas imperceptiblemente entre sí por un hilo conductor que debe ser la expresión de la nueva revolución humana.

Les invito, entonces, a leer, a saborear esta recolección de poesías, más aún porque en la hodierna sociedad donde todo gira en función del movimiento de las masas de capital hay que reconocer el mérito al esfuerzo emprendido por Vladimira Cavatore en la no fácil tarea de idealizar una globalización del arte poética. Justamente, en este mundo así como lo hemos forjado, escribir poesía es un gesto de coraje.

* Traductor e intérprete











"Il pasto nell'ombra", ovvero il coraggio di fare poesia

“IL PASTO NELL’OMBRA”, OVVERO IL CORAGGIO DI FARE POESIA

Víctor González*


Le emozioni, i ricordi e i pensieri che risveglia l’accompagnare Vladimira Cavatore, nel viaggio che ci narra con la sua recente pubblicazione, “Il pasto nell’ombra”, sono indescrivibili. Bisogna soffermarsi dopo ogni insieme di versi, chiudere gli occhi e cercare di cogliere col pensiero le fantastiche scene degli altrettanto fantastici paesi toccati dal sublime fiume di poesie che trascina, appunto, queste emozioni in un dolce e frenetico esercizio d’intelletto che mette a dura prova la funzione rappresentativa del linguaggio.

Bisogna subito affermare che non è il solito viaggio al quale potremmo essere abituati, tutto organizzato con orari e confort, bensì un viaggio diverso, nato dalla possente necessità della poetessa di osservare delle realtà che non hanno niente a che vedere con un albergo di lusso né niente che gli somiglia. Questo viaggio è improntato sulla ricerca dell’umanità nascosta negli sguardi teneri dei bambini: nei loro ossuti scheletri e nel loro sorriso che offrono a chiunque in un contrastante mondo dove miseria e povertà sembra proprio che generino felicità.

E’ un viaggio, sì, che tocca la geopolitica, la filosofia, la storia. La poesia narra le vicende, le diverse tappe immortalando in versi il contrasto di avvicendamenti dell’altra parte del mondo; di quel mondo che preferiamo ignorare nella comodità e al calduccio delle nostre quotidianità. Un connubio, reso ancora più interessante dalla facilità bilingue della poetessa, come spunto di riflessione che tocca il più profondo di ognuno di noi e ci scuote con la proposta d’immagini ormai dimenticate e che prepotentemente ritornano nella mente per richiamarci alla mente che ci sono anche gli altri, quelli che soffrono, quelli che sguazzano nella spazzatura alla ricerca di un po’ di alimento, di sopravvivenza.

Il titolo di questo componimento, il pasto nell’ombra, vuole raccogliere in un insieme coordinato poeticamente una riflessione sulle ingiustizie delle società che abbiamo costruito: un mondo dove si è globalizzata la miseria e gli stessi attori continuano ad arricchirsi “a dismisura” a scapito di quella stragrande maggioranza di persone che a stento riescono a portare a casa la pelle. Delle grandi civiltà, ereditiere di grandi imperi ormai andati, impongono la loro logica di mercato. Il resto del mondo, appunto, la stragrande maggioranza, subisce ma non in silenzio: si ribellano, tentano la lotta ma la loro voce viene fatta tacere dalla potenza di chi si erige a padrone del mondo e, soprattutto, dalla nostra indifferenza.

Passeggiando nelle pagine di questo libro vi troverete in tanti posti diversi, vi identificherete in tante realtà (ancora una volta, contrastanti) e avrete la possibilità di riflettere su le storie di quella parte del mondo dove sembra che niente ormai possa migliorare ma la speranza è talmente viva, talmente presente. Vi troverete a riflettere sui grandi mali di questa civiltà: la solitudine di massa, lo stress, la depressione, l’assuefazione prodotta da tanti bisogni indotti, inutili, lo spreco e l’individualismo… la preponderanza dell’Ego.

Ma vi troverete anche in mondi dove le tragedie naturali rafforzano gli affetti, dove la semplicità della vita quotidiana fa amare le poche cose che si hanno a disposizione, dove anche se non è stato possibile sconfiggere la fame si assiste al trionfo della solidarietà, al potenziamento dell’aiuto reciproco, dell’umanità, ai sorrisi.

Merito della poetessa Cavatore è l’essere stato in grado di cogliere con la sua inspirazione la forte disuguaglianza che si osserva in ognuno di questi paesi fantastici ed esotici: l’energico contrasto tra la ricchezza (di alcuni) e la totale povertà (di tanti, tanti). Ma questo mondo così concepito, verso a verso, lo scopriamo con mille qualità che ormai non esistono dalle nostre parti. Un enorme giardino dove sbocciano bimbi felici che scorrazzano tutto il giorno e coi capelli scomposti dalla corsa, dal gioco, offrono sorrisi a tutti. Madri coraggio che lavorano in mansioni pesantissime per sconfiggere la quotidiana lotta contro la fame, contro le avversità… e stanche morte tornano nelle loro case ed abbracciano con gioia i loro figli offrendo loro il tesoro più prezioso: il tempo.

La poetessa raccoglie, quasi con smania, tutte queste sfumature e ce le propone in un componimento poetico che sta già suscitando molti dibattiti e riscuotendo successo.

La scelta di non parlare delle poesie in sé è dovuta, è d’obbligo, proprio perché a mio avviso la poesia non va spiegata. La poesia deve essere un’interiorizzazione individuale di ognuno di noi. Deve andare a cercare nel profondo le nostre emozioni più forti, quelle che pensiamo di aver dimenticato per sempre. E deve contribuire a tirar fuori delle riflessioni, dei proponimenti… quanto meno aiutarci ad osservare con attenzione il mondo dove viviamo e tentare di cogliere la bellezza della diversità, delle culture che ci circondano… dando luogo a nuovi modi di sentire ed amare legati impercettibilmente gli uni agli altri da un filo comune che deve essere l’espressione della nuova rivoluzione umana.

Vi invito, quindi, a leggere, ad assaporare questa raccolta di poesie, proprio perché nella società di oggi dove tutto gira intorno allo spostamento di capitali, bisogna rendere atto allo sforzo tentato da Vladimira Cavatore nel non facile compito di idealizzare una globalizzazione dell’arte poetica. Eh, già, in questo mondo così come l’abbiamo impostato, fare poesia è un mestiere di coraggio.

* Mediatore linguistico / prefatore / critico d'arte